Remake del celebre donne diretto da George Cukor nel 1939, il film, fedele all'originale ma attualizzato, racconta di un gruppo di amiche e di quel che succede quando si scopre che la più invidiata del gruppo viene tradita dal marito.
.:Trama:.
La vita perfetta di Mary Haines va in crisi quando, facendo la manicure da Saks sulla Quinta Strada, apprende dalla ciarliera estetista che suo marito, un magnate della finanza, ha una relazione appassionata con la commessa addetta alla profumeria. Come se non bastasse, la sua migliore amica Sylvia, per non perdere il posto di lavoro alla guida di una rinomata rivista, vende la privacy di Mary a una nota cronista mondana in cambio di una rubrica con la sua firma. Sconvolta, Mary comincia a preoccuparsi innanzitutto di se stessa e, così facendo, finisce per ritrovare la fiducia e l'affetto degli altri.
L'autrice e produttrice televisiva Diane English porta a compimento con The Women il progetto, cullato per 14 anni, di ricondurre sullo schermo la commedia omonima di Clare Booth Luce che già aveva ispirato il film di Cukor del 1939.
La distanza tra la passerella di Meg Ryan, Annette Bening ed Eva Mendes e quella di norma Shearer, Rosalind Russell e Joan Crawford è siderale in termini di contesto, di senso –qui si palpita per le amiche, là per gli uomini- e di forma –qui ci si coccola, là si graffiava senza pietà. Basterebbe il defilé finale a chiudere i conti del paragone: nel '39 si esibivano modelli bizzarri, si osava, nel 2008 si propongono quasi in sordina modelli indiscutibilmente eleganti, castigati e monocromi. Il gap di fantasia è evidente. Resta qualche citazione e l'idea portante di relegare ogni personaggio maschile nel fuoricampo, ma bisognerebbe capire se la English è conscia del fatto che, così facendo, il maschio diventa più che mai centrale, motore dell'azione, oggetto del desiderio.
Va detto che non mancano le battute riuscite, in bocca a personaggi secondari di grandissima presa, da mamma Candice Bergen a tata Tilly Scott Pederson, dalla finta burbera Cloris Leachman alla filosofa pragmatica Bette Midler, al punto che non è assurdo fantasticare un ribaltamento tra primarie e secondarie; il risultato potrebbe essere esplosivo. Alla fine dei conti, infatti, il problema di queste "women" è che parlano come dei manuali di autostima, si confidano tutto e tutto si perdonano. Ma se non c'è eros, non ci sono contrattempi, non c'è nemmeno vero dramma … dov'è la commedia?
Dire per non dire è sempre stata la cifra della commedia americana di qualità, parlar d'altro e omettere per poter affermare, tra le righe, il vero indicibile. Il tradimento di questo assunto da parte del film della English è il dolore più grande per lo spettatore, molto più crudele delle corna di mister Haines.
.:Trama:.
La vita perfetta di Mary Haines va in crisi quando, facendo la manicure da Saks sulla Quinta Strada, apprende dalla ciarliera estetista che suo marito, un magnate della finanza, ha una relazione appassionata con la commessa addetta alla profumeria. Come se non bastasse, la sua migliore amica Sylvia, per non perdere il posto di lavoro alla guida di una rinomata rivista, vende la privacy di Mary a una nota cronista mondana in cambio di una rubrica con la sua firma. Sconvolta, Mary comincia a preoccuparsi innanzitutto di se stessa e, così facendo, finisce per ritrovare la fiducia e l'affetto degli altri.
L'autrice e produttrice televisiva Diane English porta a compimento con The Women il progetto, cullato per 14 anni, di ricondurre sullo schermo la commedia omonima di Clare Booth Luce che già aveva ispirato il film di Cukor del 1939.
La distanza tra la passerella di Meg Ryan, Annette Bening ed Eva Mendes e quella di norma Shearer, Rosalind Russell e Joan Crawford è siderale in termini di contesto, di senso –qui si palpita per le amiche, là per gli uomini- e di forma –qui ci si coccola, là si graffiava senza pietà. Basterebbe il defilé finale a chiudere i conti del paragone: nel '39 si esibivano modelli bizzarri, si osava, nel 2008 si propongono quasi in sordina modelli indiscutibilmente eleganti, castigati e monocromi. Il gap di fantasia è evidente. Resta qualche citazione e l'idea portante di relegare ogni personaggio maschile nel fuoricampo, ma bisognerebbe capire se la English è conscia del fatto che, così facendo, il maschio diventa più che mai centrale, motore dell'azione, oggetto del desiderio.
Va detto che non mancano le battute riuscite, in bocca a personaggi secondari di grandissima presa, da mamma Candice Bergen a tata Tilly Scott Pederson, dalla finta burbera Cloris Leachman alla filosofa pragmatica Bette Midler, al punto che non è assurdo fantasticare un ribaltamento tra primarie e secondarie; il risultato potrebbe essere esplosivo. Alla fine dei conti, infatti, il problema di queste "women" è che parlano come dei manuali di autostima, si confidano tutto e tutto si perdonano. Ma se non c'è eros, non ci sono contrattempi, non c'è nemmeno vero dramma … dov'è la commedia?
Dire per non dire è sempre stata la cifra della commedia americana di qualità, parlar d'altro e omettere per poter affermare, tra le righe, il vero indicibile. Il tradimento di questo assunto da parte del film della English è il dolore più grande per lo spettatore, molto più crudele delle corna di mister Haines.